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Un'autobiografia, un percorso in cui il sé si perde nel più triste dei giorni, quello senza speranza, per ritrovarsi a un livello altro, alto, quello dell'amore (innanzitutto familiare), della condivisione. È un cittadino lucano che ha passato i cinquant'anni, quello che si è ritrovato dal municipio di un Comune, da un impiego al Tribunale, al sapore acre di un carcere; quello che ha sperimentato la forza di ciò che è umano in tutte le sue contraddittorie convivenze e in questo ha ritrovato il suo miracolo, la sua rinascita, il suo risorgere. Una vita, un'ascesa purgatoriale, che ha continuamente bisogno di sentirsi dichiarata la fedeltà a sé, al suo senso. In quest'opera la parola si fa funzione civile e passa, potenzialmente, dal piano della descrizione a quello della reazione. Contro un indifferentismo dilagante di chi marcisce in una cella che con l'aria risucchia la voglia di vita, di riscatto sociale, sentenziando questo barbaglio accecato, acefalo. Contro una società, una cultura globalizzata politicamente promossa che fa dei centri Snai gli unici centri di aggregazione sociale. Contro una plumbea cupidigia. Contro tutto questo ciarpame, un dardo di luce, una via di fuga fatta di vigile leggerezza: l'orgoglio del cittadino, dell'individuo in quanto animale sociale.